cornicetraspCiao a tutti mi chiamo Denis e mi hanno chiesto di curare la sezione del sito che riguarda la cultura, le tradizioni, le feste presenti in questo favoloso paese… beh subito ne sono rimasto entusiasta perché si tratta davvero di un paese pieno di colori, usanze e perché no anche di tante contraddizioni. Tuffarsi in questo viaggio vi farà vedere un paese molto differente dal nostro, ma proprio per questo ci sono tutti i presupposti per ammirare, comprendere e rimanerne affascinati,… che dire buon viaggio a tutti!!

Prima di iniziare a raccontarvi alcune tradizioni, aneddoti, curiosità da questo incredibile paese volevo ringraziare gli ideatori del sito che mi hanno dato la possibilità di condividere con voi queste poche righe.
Spero che quanto leggerete vi farà distrarre un po’ dalle fatiche dell’adozione e dai tempi interminabili che intercorrono durante le varie fasi, purtroppo il fattore tempo è in realtà molto discordante dalla nostra percezione, il popolo indiano è proprio lento di natura… Namasté e buona lettura a tutti!!

diwaliDiwali, è una delle più importanti feste indiane e si festeggia con grande entusiasmo e gioia perche simboleggia la vittoria del bene sul male.
In sancrito DEEPAVALI significa “festa delle luci”, infatti si usa candele o lampade tradizionali chiamate DIYA.
La leggenda dice che per festeggiare il ritorno del re dopo 14 anni di esilio in una foresta, il popolo accese file (avali) di lampade (dipa) in suo onore, da qui il nome Dipawali o più semplicemente Diwali.
I festeggiamenti per Diwali durano cinque giorni, quest’anno Diwali andrà dal 28 Ottobre al 1 Novembre.
E’ la celebrazione della vita e l’occasione per rinsaldare i legami con familiari e amici. Tutte le persone in India festeggiano Diwali anche coloro che non sono di religione indu’.
Si fanno le pulizie in modo speciale di tutti gli ambienti Quando si fa buio, si accendono  delle piccole lampade (chiamadte “diya”) e si posizionano in diversi punti della casa. Le lampade simbolizzano il sapere e la luce interiore, portano pace e lottano contro il buio e l’ignoranza.
Il vero e proprio giorno di Diwali cioe’ il terzo. Si indossano nuovi vestiti e gioielli il secondo e il terzo giorno. Si preparano e si regalano i dolci e snack. Si compie il Laskshmi Pooja (funzione religiosa) il giorno di Diwali (il terzo) per chiedere la benedizione dalla Dea del Benessere. Questo rituale elaborato prevede l’utilizzo di grani, foglie, monete ed icone religiose. Durante la cerimonia,si puo’ invocare la dea recitando i mantra vedici o pensando a lei mentre riceve monete d’oro, con due elefanti ai suoi fianchi, e si intona il suo nome. La aarti viene portata a termine con calma ed un’atmosfera di pace dovrebbe accompagnare l’intera funzione. I giochi sono fondamentali durante questa festività: carte (particolarmente il ramino), mimo, ballo con la scopa, sedie musicali, caccia al tesoro, nascondino, ecc. Si condivide l’affetto con tutti ed in particolare nei confronti dei fratelli e delle sorelle, specialmente l’ultimo giorno dei festeggiamenti. Si cucina e si prega per loro e si impacchettano regali.

FELICE DIWALI!!!

Famiglie e abitazioni indiane
La giornata degli Indiani inizia abitualmente presto; ogni mattina la musica proveniente dalle radio collocate nei piccoli templi indù eretti per strada sveglia tutti i membri della famiglia, che in genere è piuttosto numerosa, anche perché gli anziani che necessitano di cure vengono accuditi dalla famiglia. La possibilità di farli ospitare in strutture apposite non appartiene, infatti, alla cultura e alla morale indiana, e viene percepita come un abbandono e dunque come una grave mancanza di rispetto.
D’altra parte un bambino indiano è sorvegliato da vicino, ma, al tempo stesso, riceve poca attenzione personale. Normalmente un bimbo indiano dorme nella stessa stanza dei genitori fino all’età di dodici anni. Grande interdipendenza e profondo rispetto caratterizzano la vita del popolo indiano; il padre è visto come il capofamiglia: figli e figlie possono vivere nella casa paterna fino al matrimonio e oltre, perfino all’età di 26 anni una ragazza potrebbe dover chiedere al padre il permesso di cenare fuori. Spesso nella casa delle famiglie borghesi abitano anche i domestici e a volte anche parenti provenienti dalla campagna che si mantengono svolgendo lavori domestici.
Nelle città come nei villaggi la maggior parte dei servizi si svolge anche per strada, dalle cure mediche e dentistiche, al taglio dei capelli, dai servizi di lavanderia alla cucina. Inoltre, quando qualcuno si ammala, di norma, non chiama il dottore, ma si fa ricoverare in ospedale. Le famiglie si “registrano” con un medico dell’ospedale, che le accetta come suoi pazienti.
Le case possono essere lussuose o fatiscenti. In alcune regioni la fornitura di energia è irregolare ed è frequente non avere né luce, né acqua. Più della metà degli abitanti delle città non dispone di fognature, quasi un terzo vive senza servizi igienici e il sedici per cento non ha acqua corrente. Nella maggior parte delle case ci sono cisterne d’acqua con pompe, generatori elettrici e stanze rinfrescate da ventilatori.
La dote e il matrimonio
La legge indiana proibisce esplicitamente la dote, almeno quella in denaro. Nei fatti, tuttavia, la situazione è molto diversa ed è prassi abituale che la futura moglie porti in dote elettrodomestici, scooter, l’automobile e altro ancora. Per il matrimonio, l’usanza prevede che il padre della sposa spenda almeno i suoi guadagni di un anno.
In nessun altro paese del mondo il matrimonio ha una simile importanza. La festa dura tre giorni, perché bisogna festeggiare come si deve la figlia che se va, si deve ballare e cantare in suo onore e non piangere per la sua partenza. Una figlia è una maledizione, un figlio invece è un dio. Tale è il senso della cerimonia del matrimonio indù. La stagione dei matrimoni, almeno al nord, è da ottobre a febbraio, mentre la data precisa delle nozze viene concordata in presenza di un astrologo, che goda della fiducia della famiglia. Lo sposo arriva con un corteo: se la tradizione è rispettata, cavalca uno stallone bianco, accompagnato dal fratello più giovane, e porta al collo grandi ghirlande, fatte di pagliuzze scintillanti oppure di fiori intrecciati, gelsomini o tuberose. Lo sposo è vestito con una lunga tunica di tessuto lucente, broccato o lamé, e con pantaloni bianchi. A coprire la testa, un turbante con arabeschi d’oro e a volte ornato con un’aigrette. Donne della famiglia lo precedono in abiti da cerimonia, danzando sulla musica suonata da un oboe. Oggi il cavallo bianco è sostituito da un’auto o da un carro decorati, le fiaccole che circondano il corteo da lampade al neon e l’orchestra da una fanfara di ottoni.
La sposa è vestita con un sari rosso, ha il volto velato, porta alla narice un grosso anello da matrimonio ed è adorna di gioielli in quantità proporzionata alla ricchezza della famiglia; mani e piedi sono decorati con l’henné, al braccio porta undici, ventuno o trentuno bracciali ricevuti in dono alla vigilia del matrimonio dallo zio.
Il sacerdote sta davanti all’altare su cui è acceso un fuoco con rami di sandalo. In un recipiente di metallo troneggia una noce di cocco circondata da foglie di mango e riso, simbolo cosmico di fecondità. Lo sposo si lava le mani e beve un po’ di yogurt mescolato al miele, poi il padre della sposa gli consegna ufficialmente la figlia. A questo punto lei si alza, si mette a fianco dello sposo e fa con lui sette volte il giro dell’altare. Dopo il quarto giro la donna è sposata, al settimo è la serva del marito e il suo dovere è venerarlo come un dio. Lo sposo applica sulla fronte della moglie il sindor, la polvere vermiglia che indica la sua condizione di donna sposata. Lei d’ora in avanti per chiamare il marito userà perifrasi d’adorazione, invece del suo nome.
Le leggi approvate negli ultimi anni, comunque, garantiscono l’uguaglianza giuridica tra i due sessi. La legge della successione del 1956 stabilisce che tutte le donne indù e sikh hanno il diritto di ereditare i beni della famiglia. In realtà sono trattate come cittadini di seconda classe e alcune organizzazioni danno un’adesione puramente formale alle pari opportunità.

Nel prossimo articolo parleremo invece del rito funebre e vi addentreremo nel capire quali arti sono diffuse in questo paese, vi aspetto!
Vi mando un caloroso abbraccio, alla prossima!!

Concludiamo questa parte come promesso parlando brevemente del rito funebre ma subito dopo ci vogliamo tuffare in maniera più approfondita parlando delle religioni!
Il rito funebre
Il rito funebre è una delle celebrazioni più importanti in India. Secondo i precetti dell’Induismo, la cerimonia si deve svolgere nelle dodici ore successive alla morte, sulle rive di un corso d’acqua, in un campo di cremazione. Il feretro è portato a spalla velocemente e deposto sulla riva in modo tale che i piedi del defunto siano nell’acqua.
Il defunto sarà arso su una pira di sandalo (le cui dimensioni dipendono dallo status sociale della famiglia), cosparso di burro chiarificato: spetta al figlio primogenito appiccare il fuoco, del quale si prenderanno cura gli addetti alla cremazione, al gradino più basso del sistema delle caste. La spoglia mortale è al contempo un sacrificio e un’offerta: al momento in cui il cranio esplode, risuona il grido: “È immortale, perché è il momento in cui l’anima si invola.” Il corpo, infatti, è ritenuto soltanto un involucro che l’anima del defunto abbandona nell’attimo in cui il cranio scoppia; gli atti del defunto poi, secondo la loro conformità al dharma, determineranno una nuova incarnazione nell’elenco delle specie viventi. Alla fine del rito, la famiglia provvede a raccogliere le ceneri e a spargerle nel fiume accompagnandole con preghiere. Ogni anno, poi, i defunti e gli antenati vengono onorati con offerte di riso e semi di sesamo: è il figlio maggiore ad occuparsene, per assicurare allo spirito il passaggio dal limbo alla reincarnazione.
Le prescrizioni islamiche, invece, impongono che la salma venga sepolta entro ventiquattr’ore dal decesso, avvolta in un semplice lenzuolo bianco. La tipologia della sepoltura varia in accordo con la volontà e con le possibilità della famiglia; al riguardo si ricordi che il Taj Mahal, ad Agra, edificato in marmo bianco ed intarsiato di pietre preziose, è un maestoso esempio di mausoleo in stile indo-islamico, fatto realizzare nel Seicento dall’imperatore Shah Jahan per la moglie defunta.
I parsi espongono i loro morti agli avvoltoi, dopo averli cosparsi con urina bovina, alla sommità delle torri del silenzio, soprattutto a Mumbai. I sikh e i jain praticano la cremazione in alta montagna, dove il fuoco non può bruciare, i buddisti espongono i corpi dei defunti agli avvoltoi.
Gli Avatar di Vishnu
Il termine “Avatāra” ci viene tramandato dalla lingua sanscrita ed indica l’apparizione o la discesa sulla terra della divinità avente lo scopo di ristabilire o tutelare il “Dharma”.
La nozione religiosa di avatāra, ovvero la “discesa sulla terra della divinità” compare per la prima volta in India tra il III e il II secolo a.C., nella “Bhagavadgita”, quando Vishnu esprime l’intenzione di assumere diverse forme al fine di restaurare l’ordine cosmico, il Dharma, appunto.
Presso la religione Induista un “avatar” o “ avatāra”, è l’assunzione di un corpo fisico da parte della Divinità, o di uno dei suoi aspetti, e consiste nella deliberata incarnazione di un “Deva”, o del Signore stesso, in un corpo fisico al fine di svolgere determinati compiti. Questo termine viene usato principalmente per definire le diverse incarnazioni di Vishnu, tra cui si possono annoverare Krishna e Rama.
Gli adoratori di Vishnu quale divinità suprema, i “vaishnava” credono che il Dio si incarni ogni qualvolta avviene un declino della giustizia, unitamente all’insorgere delle forze demoniache che operano in senso opposto al “Dharma”, la legge cosmica. A tal proposito, è famosa la frase pronunciata da Krishna, ottavo avatar di Vishnu, durante la battaglia di Kurukshetra:
«Per la protezione dei giusti, per la distruzione dei malvagi e per ristabilire i princìpi della Giustizia Divina, Io mi incarno di era in era ».
La dottrina dell’Avatar si riflette moltissimo nella cultura e nell’epica Induista.
I due principali avatar di Vishnu, che appaiono nell’epica induista, sono Rama, l’eroe del Ramayana , e Krishna.
Diverso dai “Deva” – o dalle divinità delle astratte “Upanishad”, che concepiscono il tutto come un essere senza forma (il Brahman), gli Avatar in questa era epica induista sono intermediari umani, tra l’Essere Supremo, rappresentato come “Ishvara,” e i mortali.
Questa dottrina ha avuto un grande impatto sulla vita religiosa degli Induisti; questo perché Dio ha manifestato Se Stesso in una forma che può essere compresa e apprezzata persino dalle persone più indifferenti. Nel corso di migliaia di anni, Rama e Krishna sono state la manifestazioni del Divino più adorate e venerate tra gli Induisti. Il concetto estratto dalle Upanishad, di sottomissione e rispetto verso l’unità di Brahman, è considerata la massima espressione del pensiero induista, e ha fornito la base teologica alla religione che arriva in aiuto all’umanità nelle epoche oscure, la più elevata divinità, l’avatar.
Il ciclo di creazione e distruzione contiene l’essenza dell’idea di “avatar” e fa veramente affidamento sull’avatar decisivo di Vishnu, chiamato “Kalki” come colui che darà l’ultima spallata al degrado etico dell’umanità.
Rama e Krishna non sono gli unici avatar della tradizione induista, la quale vuole che il Divino abbia preso forma umana in diverse epoche storiche, anche prima che l’uomo comparisse sulla terra Si conoscono molti avatar legati a Vishnu, ma poco quelli legati a Brahma o Shiva.
Alcune tradizioni Indù, in base al Ramayana affermano che Shiva si è incarnato solo una volta come l’uomo-scimmia “Hanuman” il devoto di Rama per eccellenza.

Vi mando un caloroso abbraccio, alla prossima!!